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Il 23 febbraio a Pontedera "L’uomo seme"

Pubblicato il 20/02/2019
   

Pontedera teatro L’uomo seme Pisa
TEATRO E DANZA

PONTEDERA (PI) - La Stagione del Teatro Era (Pontedera) sabato 23 febbraio alle 21 prosegue con un racconto di scena ideato e diretto da Sonia Bergamasco a partire da “L’uomo seme” di Violette Ailhaud.

Uno spettacolo corale in forma di ballata, in cui racconto, canto e azione scenica cercano un punto di equilibrio essenziale e sono arricchiti dalla drammaturgia musicale di Rodolfo Rossi e del Quartetto vocale Faraualla. Dietro “L'uomo seme”, una storia sconvolgente, verosimile, narrata con una lingua così concreta e sapiente da far dubitare dell’identità dell’autrice e dell’autenticità del testo. Come spiega la stessa Sonia Bergamasco: “Questo piccolo libro racchiude per me una storia nella storia. Alla sua prima uscita in Italia, nella traduzione di Monica Capuani, me lo regalò un’amica. Lo lessi in un soffio. Un’altra amica, poco dopo, me lo segnalò nuovamente, convinta che fosse una storia per me. Di che cosa si trattava, in effetti? L’uomo seme si presenta come un memoriale - e dunque una storia vera - raccontata dalla protagonista della vicenda, a molti anni di distanza dai fatti. Una donna ottantaquattrenne ci guida alla scoperta di una piccola comunità montana della bassa Provenza, aspra e ventosa, dove l’insurrezione repubblicana del 1851 prima e la Grande Guerra poi hanno falciato tutti gli uomini. Una comunità di sole donne è costretta per ben due volte a fronteggiare il presente con sentimenti alterni e contrastanti, ma con la determinazione invincibile di ripristinare il quotidiano, di dare di nuovo un futuro al villaggio. Violette Ailhaud, l’autrice del memoriale, torna all’epoca dei suoi sedici anni, quando la rivolta repubblicana aveva per la prima volta spazzato via gli uomini del villaggio, e ci racconta di come, nei lunghi mesi di attesa, di resistenza, di lavoro e di solitudine, le donne stabiliscono uno straordinario patto per la vita. Il primo uomo che arriverà, sarà l’uomo di tutte, per ridare vita alla comunità. L’amore non c’entra. Si tratta di riaffermare la vita. E così avviene. Ma che cosa c’entro io, in effetti, con quelle donne di un villaggio francese del XIX secolo? Che cosa mi spinge a rappresentarle, a dare loro voce? Prima di tutto, un’intuizione musicale. Nel libro La guerra non ha un volto di donna, Svetlana Aleksievic - premio Nobel 2015 per la letteratura - racconta di villaggi di sole donne dove la sera ci si riunisce per parlare di figli, mariti e padri assenti, di amore, di desiderio, di dolore. “La guerra la raccontano le donne - scrive la Aleksievic. Piangono. O cantano, ma è anche questo un pianto”. Il canto, dunque, come espressione primordiale. E le Faraualla - gruppo vocale pugliese con una lunga e gloriosa storia alle spalle - mi sono sembrate da subito le protagoniste ideali del racconto. L’unica figura maschile, l’uomo seme appunto, è un maniscalco, e Rodolfo Rossi, musicista, didatta e percussionista di valore ne è per me l’interprete perfetto. Ho subito immaginato nascere questo racconto di scena attorno a un grande albero teatrale. Un albero casa, un albero sonoro, un’invenzione di paesaggio attraversata dalla luce. Barbara Petrecca è l’artista artigiana che l’ha realizzato. Successivamente, ho scoperto che il luogo di nascita e di morte di Violette Ailhaud, Saule Mort, significa - letteralmente - salice. Infine, alla ricerca di un gesto teatrale esatto, concreto ed emotivo ho chiesto a Elisa Barucchieri, danzatrice e coreografa di grande sensibilità, di collaborare alla ricerca di questa lingua di scena. Le luci sono di Cesare Accetta, compagno di strada da molti anni”.

Costo biglietti 20 intero, 17 ridotto.



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